Manifesto

NOTA DI PROGRAMMA

“Il Castello di Elsinore” è una rivista accademica di studi teatrali, strutturata da sempre su tre sezioni: saggi, materiali, spettacoli. La sezione saggi si riferisce al prodotto tipico del lavoro accademico, di taglio storicistico, anche là dove affronta problematiche teatrali contemporanee. Può riguardare tanto la dimensione drammaturgica quanto quella del cosiddetto teatro materiale, attento alle diverse realtà del regista, dell’attore, dei codici non verbali dello spettacolo, ma anche le problematiche estetiche e metodologiche. L’importante è che sia presente un impegno rigoroso nella direzione dell’originalità dei risultati critici, tanto più necessaria nella attuale difficile fase dell’Università italiana, caratterizzata dal trionfo di una saggistica compilatoria, divulgativa, che sembra mirare alla quantità piuttosto che alla qualità. La sezione materiali è invece uno spazio idoneo ad accogliere contributi documentari significativi. La sezione spettacoli mira a rendere conto degli esiti più validi della scena contemporanea, italiana ma anche straniera, sempre però in uno sforzo di analisi di ampio respiro, che vada ben al di là della misura troppo breve della tradizionale recensione (peraltro ormai quasi scomparsa dalle pagine dei quotidiani).

Nel corso della sua esistenza pluri-trentennale la rivista ha utilizzato saltuariamente anche altre sezioni, fra le quali quella dei libri (dedicata alla valorizzazione di talune pubblicazioni particolarmente interessanti) e quella delle polemiche (volta a mettere a fuoco problematiche metodologiche e ideologiche importanti per la vita culturale della comunità scientifica). Proprio per le caratteristiche che hanno accompagnato la sua nascita (già indicate nella Nota Storica), “Il Castello di Elsinore” è aperto a contributi di docenti e studiosi di settori affini, su argomenti disciplinari compatibili con gli interessi della rivista.

NOTA STORICA

Storia del Teatro, come disciplina accademica, nasce nell’Università italiana relativamente tardi, fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del Novecento. Non può stupire, pertanto, che la prima rivista specialistica, “Biblioteca Teatrale”, appaia nel 1971, promossa dai due padri fondatori della disciplina, Cesare Molinari (con studi di Storia dell’Arte alle spalle) e Ferruccio Marotti, allievo di un grande francesista, Giovanni Macchia. La loro non è tuttavia una rivista di scuola, perché Molinari e Marotti hanno interessi e metodologie non strettamente riconducibili a una comune passione critica. Bisogna quindi aspettare un quindicennio perché venga alla luce una generazione di fratelli minori, i quali – verso la fine degli anni Ottanta – danno vita ad altre due riviste: “Teatro e Storia” (1986) e “Il Castello di Elsinore” (1988). Mentre però la prima ambisce a porsi, essa sì, come rivista di scuola, il nostro “Castello” si definisce come luogo di incontro di studiosi di diversa matrice, ribadendo peraltro il destino di una disciplina per così dire coloniale, che rinvia a una pluralità di madri-patrie culturali, come testimonia la fotografia dei sei fondatori: Roberto Alonge, Umberto Artioli, Siro Ferrone e Roberto Tessari sono letterati, per lo più allievi di illustri italianisti (Giovanni Getto e Lanfranco Caretti); Silvana Sinisi è docente di Storia dell’Arte Contemporanea e Claudio Vicentini di Estetica.

Proprio questa origine meticciata spiega il tratto dominante della rivista, che nel lento succedersi dei decenni mette a fuoco la ricca complessità dell’evento teatrale, che è scrittura drammaturgica ma anche scrittura scenica, spazio magico in cui si inverano le presenze dell’attore e del regista, ma anche delle macchine scenografiche e coreografiche, delle musiche e delle luci. A sfogliare i sommari dei vari fascicoli si scopre la persistenza quasi ossessiva di alcuni nodi: l’analisi drammaturgica (che privilegia i tragici greci, Goldoni, Pirandello, Ibsen), il lavoro attorico (a cominciare dalla Commedia dell’Arte, per finire con le Avanguardie del Novecento), l’analisi dei prodotti più significativi della messinscena contemporanea, la danza.

Ed è ancora la dimensione multi-disciplinare quale impronta d’origine della rivista che spiega la sua apertura a docenti e studiosi di settori contigui, con interventi di francesisti, anglisti, germanisti ma anche di musicologi.